Milli mála - 01.01.2012, Blaðsíða 224
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PASOLINI E IL DIBATTITO SULLA LINGUA
personalmente tirati in ballo e per questo motivo indotti ad una
replica. È il caso, per esempio, di Mario Pomilio, e del suo articolo
uscito su La fiera letteraria il 14 febbraio 1965. In “Nuove questio-
ni linguistiche” Pasolini vedeva nella narrativa successiva alla sta-
gione neorealista (narrativa gaddiana, ma anche pasoliniana), con le
sue ricerche plurilingusitiche, dialettali, sperimentali una nuova
forma letteraria concreta dell’impegno. E aveva collocato l’inizio
della crisi di quella narrativa e di quelle ricerche nella reazione puri-
stica “dovuta all’iniziativa di un gruppetto di scrittori napoletani
riuniti intorno a una loro rivista” (Pasolini 1999a: 1254–55), nata
alla fine degli anni ’50. Si trattava proprio della rivista Le ragioni
narrative, di cui Pomilio era attivo partecipante. Nell’introduzione
a questo articolo, scrive Pomilio: “Cari amici della Fiera, certe volu-
te inesat tezze di giudizio contenute nelle «Nuove questioni lingui-
stiche» di Pasolini, e che toccano non solo me, ma l’intero gruppo
che a suo tempo diede vita alle «Ragioni narrative», mi costringono
a chieder vi ospitalità per questo mio scritto” (Pomilio 1971: 203).11
È il caso anche di Moravia: “vorrei rispondere alla parte che mi
riguarda direttamente, anche se non pretendo di essere un buon
critico di me stesso […] L’analisi che Pasolini fa della mia lingua è
giusta: è secca, semplice, non molto sintattica. Ma anche questa non
è una novità” (Barbato 1971: 127). In realtà Pasolini aveva “accusa-
to” la lingua di Moravia di basarsi su un equivoco accettato
spavaldamen te da Moravia stesso: il disprezzo per la condizione
borghese (e la spietata critica di quella condizione che è la caratte-
ristica essenziale di ogni opera moraviana) e insieme l’accettazione
della lingua della borghe sia come strumento neutro, come se non
venisse prodotto ed elabo rato da quella stessa borghesia ma si tro-
vasse paradigmatica mente presente nella storia (Pasolini 1999a:
1250). Ed è il caso, per citare un terzo esempio illustre, di Calvino:
“devo dire che nel suo scritto [di Pasolini] ho trovato molto di sti-
molante e di vero […] in alcune delle rapide analisi stilistiche (non
dove parla di me, pur troppo) e in parecchie osservazioni marginali”
11 Pomilio, nel suo articolo, ritorce contro Pasolini le stesse accuse che quest’ultimo rivolgeva a lui.
Pasolini, dichiarava in sostanza Pomilio, si accontentava di portare i personaggi dei suoi romanzi
a una regressione mimetica verso il parlato senza mirare alla costituzione di un piano espressivo
continuo, lasciando così irrisolta l’opposizione tra lingua alta e lingua bassa, opposizione che
secondo Pasolini stesso la letteratura doveva il più possibile appianare (Pomilio 1971: 204).
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