Milli mála - 01.01.2012, Blaðsíða 236
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PASOLINI E IL DIBATTITO SULLA LINGUA
molti si sono impegnati a correggere il tiro e a scorgere la più temi-
bile fonte di unificazione non in quell’ipotetica classe industriale e
borghese, ma nel linguaggio televisivo (“temibile” perché il mezzo
televisivo veicolava una lingua media povera e scialba). Il fatto inte-
ressante è che nessuno, fra i sostenitori di queste posizioni critiche,
ha pensato di mettere in correlazione l’italiano dei media (in parti-
colare quello della pubblicità) con quell’italiano tecnologico-indu-
striale che secondo Pasolini era appena nato ma avrebbe in futuro
dominato la lingua italiana nel suo complesso. Eppure, nel 2004,
Sobrero, citando Baldini a proposito del potere fascinatorio eserci-
tato sui parlanti dalle lingue specialistiche, notava che di tale pote-
re “si è accorta la pubblicità e i consumatori sono stati subito som-
mersi da ‘messaggi-massaggi’ colmi di tecnicismi (o di ‘fantatecni-
cismi’) tratti dalle scienze che di volta in volta sono più di moda”
(Sobrero 2004: 275).
L’elemento forse più singolare dell’intero dibattito linguistico di
quegli anni, quindi, è che nessuna delle parti in causa sembra aver
tenuto in considerazione il fatto che è proprio la pubblicità che
“sommerge i consumatori” a veicolare principalmente messaggi le-
gati al mondo industriale-aziendale. Tanto più singolare se si pensa
che i maggiori settori aziendali e industriali, ancora oggi, sono si-
tuati prevalentemente nel Nord della nazione (energia, editoria,
auto, abbigliamento e design, alimentare e così via), e a maggior
ragione lo erano cinquant’anni fa.
Certo, rimane difficile stabilire se questi gruppi di potere possa-
no aver direzionato (e se lo hanno fatto, è ancor più difficile stabili-
re in che misura) la lingua italiana in un senso tecno-industriale di
stampo prevalentemente settentrionale. Infatti, se il linguaggio
tecnologico che nasce a Milano e Torino propone e promuove la
diffusione di alcuni modelli settentrionali, il parlato radiotelevisivo
(proprio per la eterogeneità tipologica delle trasmissioni e di conse-
guenza per la varietà di linguaggi proposti) tende a ridurre queste
proposte, accogliendole parzialmente e comunque in modo media-
to.
Pertanto, ugualmente difficile diventa non solo stabilire se, ma
soprattutto in che misura la televisione italiana influisca e abbia
influito sulla lingua italiana. Come riconosce Franco Ferrarotti ci-
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