Milli mála - 01.01.2012, Blaðsíða 232
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PASOLINI E IL DIBATTITO SULLA LINGUA
tato degli elementi vitali che compongono la sua molteplice realtà,
per cui laddove, come nell’Italia dei primi anni sessanta, la rivolu-
zione industriale e il continuo progresso della scienza sembrano
soppiantare la fase artigianale della sua storia, ciò avrà un’incidenza
anche sul piano linguistico. Ma, osserva ancora Isella,
“se il rapido diffondersi di questa lingua tecnologica può far pensare a
qualcuno che essa sia la lingua tout court che si impianta, finalmente
unitaria, sulla dissonante varietà linguistica del nostro paese, non è
possibile non osservare come essa sia sempre una lingua settoriale: non
inglo ba in sé la tanto più vasta e complessa sfera del vivere” (Isella 1971:
282).
E in questa sua affermazione è chiaro che Isella sta contestan do a
Pasolini la tesi secondo cui la lingua italiana starebbe nascendo, e si
starebbe unificando su base tecnologica. Ma poi lo stesso Isella
aggiunge: “Non saranno pertanto le lingue tecnologiche a promuo-
vere, fuori dal loro ambito, l’unificazione linguistica. Sarà semmai
la forza livellatrice della civiltà industriale a ridurre il molteplice e
il diverso a uno standard unitario” (Isella 1971: 283). E allora, la
posizione di Isella non è poi così discorde da quella di Pasolini, se
quest’ultimo osserva che “La completa industrializzazione dell’Italia
del Nord, a livello ormai chiaramente europeo, e il tipo di rapporti
di tale industrializzazione col Mezzogiorno, ha creato una classe
sociale realmente egemonica, e come tale unificatrice della nostra
società” (Pasolini 1999a: 1265). Si tratta di differente uso dei ter-
mini (per Isella “riduzione del molteplice e del diverso a uno stan-
dard unitario”, per Pasolini “unificazione della società”), ma di
so stanziale accordo nel vedere nell’egemonia dell’elite industriale un
fattore di omologazione sociale, e quindi anche linguistica.
Tullio De Mauro, che pure non interviene nel dibattito, a suo
tempo aveva già individuato nella più intensa industrializzazione
del Nord e nella diversa distribuzione dell’analfabetismo e dell’alfa-
betismo, cioè della potenzialità d’uso della lingua, l’origine della
fortuna di elementi linguistici settentrionali nell’italiano standard
e di elementi meridionali nell’italiano a tinte popolaresche. Dopo
l’unità, scriveva De Mauro “«saper parlare italiano» è andato diven-
tando sempre più un carattere tipico del Settentrione, mentre non
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