Milli mála - 01.01.2012, Side 223
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STEFANO ROSATTI
almeno fino all’unità d’Italia. Il periodo che va dal 1861 alla fine
della Seconda Guerra Mondiale e all’instaurazione della Repubblica
(1946), si caratterizza invece per lo sforzo di sviluppare, nella nuova
nazione, una situazione linguistica il più possibile omogenea, non
tanto e non solo a livello di letteratura, ma (ed è la prima volta che
il problema viene dibattuto) anche e soprattutto a livello di comu-
nicazione, cioè di uso (e uso popolare) della lingua. Gli italiani, come
si è visto citando i dati di De Mauro, per la quasi completa totalità
non sapevano scrivere e parlavano dialetto. Si trattò di creare le
condizioni sociali, ma soprattutto le strutture (scuole, metodi e
principi pedagogici e didattici, testi, insegnanti, oltre che politiche
linguistiche), affinché l’uso del dialetto venisse soppiantato – o al-
meno affiancato – da una lingua “nazionale”. Oggi, a centocin-
quant’anni dall’unificazione politica dell’Italia, l’italiano è la lingua
parlata dal novanta per cento della popolazione (Maraschio 2009),
nonché la lingua usata nei più diversi ambiti della vita quotidiana.
L’italiano, cioè, ha ottenuto quello status che altre lingue nazionali
europee già hanno raggiunto da alcuni secoli.
3. Pasolini e il riaccendersi della
questione della lingua
L’articolo di Pasolini, “Nuove questioni linguistiche”, si divide in
due parti nettamente distinte: la prima parte è un’analisi critica del
panorama linguistico-letterario dell’Italia dell’ultimo ventennio
(1945–1964). Uno dei pochi ad accorgersi della qualità della prima
parte di “Nuove questioni linguistiche” era stato Cesare Segre,10
tuttavia, in generale, questa parte dell’articolo, pur ricca di riferi-
menti e osservazioni importanti, non ha mai ottenuto la dovuta
attenzione da parte degli ambienti accademici e letterari, ma solo
quella di alcuni fra gli autori citati da Pasolini, che si sono sentiti
se minaccia di distruggere l’unità fonetica e lessicale ecc. ecc. Potremmo dire: paese che vai,
‘questione’ della lingua che trovi…” (pp. 28–29 – nota).
10 “La prima parte del suo [di Pasolini] discorso schematizzava brillantemente la situazione dei prin-
cipali scrittori contemporanei di fronte alla lingua [...] Pasolini notava che i migliori sono per lo
più ricorsi a livelli linguistici superiori o inferiori a quello medio (linguaggio iperletterario e dia-
letti), oppure hanno espressionisticamente istituito uno scambio tra i due livelli, lasciando fuori
quello medio, o infine hanno ignorato o finto d’ignorare il problema scavalcando le istanze lingui-
stiche per attingere subito a quelle poetiche o ideologiche.” (Segre 1971: 433).
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