Milli mála - 01.01.2012, Qupperneq 228
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PASOLINI E IL DIBATTITO SULLA LINGUA
(sebbene ancora in embrione) cui fa riferimento Pasolini, è, per
Pasolini stesso, un fatto totalmente negativo:13
“si polemizzi contro le mie constatazioni, non mi si «accusi innocente» di
desiderare i fenomeni che constato. Perché al contrario – umanista
elegiaco come sono – io trovo orrendo un futuro tecnologico: ma non
posso nemmeno, però, fare come gli struzzi: cioè chiudere gli occhi davan-
ti a questa realtà” (Pasolini 1999c: 2446).
E ancora:
“La «comuni catività» del mondo della scienza applicata, dell’eternità
industria le, si presenta come strettamente pratica. E quindi mostruosa.
Nessuna parola avrà senso che non sia funzionale entro l’ambito della
necessità: sarà inconcepibile l’espressione autonoma di un sen timento
«gratuito»” (Pasolini 1999d: 1285).
Alcuni, come Cesare Segre, avanzarono il sospetto che, sotto sotto,
la teorizzazione pasoliniana celasse di fatto un mutamento di
Pasolini nelle proprie convinzioni e in particolare nella propria
po etica, mutamento che, con la pubblicazione di “Nuove questioni
linguistiche”, Pasolini avrebbe implicitamente voluto notificare
(Segre 1971: 435). Tuttavia, ciò che colpisce, nel dibattito sulla
“nuova questione della lingua”, non sono tanto le critiche degli
addetti ai lavori, cioè dei linguisti di professione e degli storici del-
la letteratura (ved. paragrafo 5), quanto invece quelle degli stessi
colleghi di Pasolini, cioè letterati e intellettuali.
Il disaccordo con Pasolini da parte di questi ultimi verteva sul
fatto che essi individuavano, come minaccia di impoverimento
espressivo della lingua, non tanto la borghesia neo-industriale del
Nord Italia (asse Torino-Milano), quanto invece l’invasività dei
mezzi di comunicazione di massa e in particolare il linguaggio del-
la pubblicità. Umberto Eco, per esempio, in un’intervista rilasciata
a L’Espresso il 24 gennaio 1965 (una sorta di messa a confronto in-
diretta delle opinioni, appunto, di Eco, e di quelle di Alberto
13 Non tutti, e non subito, lo capirono: Alberto Arbasino, ad esempio fu uno di quelli che fraintese-
ro le posizioni di Pasolini. Per Arbasino, la diffusione a livello nazionale di un linguaggio tecno-
logico che aveva origine tra le elites industriali del Nord, era un desiderio di Pasolini, anziché una
sua fortissima paura (Arbasino 1971: 102–104).
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