Milli mála - 26.04.2009, Síða 296
pio). È comunque vero che è la “situazione” (intesa con Sobrero
come “destinatario, argomento e scopo”7), a definire il grado di di -
ver genza rispetto alla lingua comune.
Fatto sta che i testi di argomento storico possono presentare
alcuni dei problemi tipici dei linguaggi specialistici. Un articolo
specialistico, una lezione universitaria, un colloquio col professore,
un manuale disciplinare possono presentare problemi di compren-
sione anche assai grossi.
Di questo se n’è accorta da tempo anche la scuola italiana,
soprattutto in seguito all’apertura del paese a culture portate dagli
immigrati. La sempre crescente presenza di studenti provenienti da
regioni extra-italiche sta obbligando infatti l’apparato scolastico
della Repubblica italiana a rivedere il modo di insegnare la storia,
compresi i manuali in uso e i programmi adottati.
Di fronte alle difficoltà (di comprensione testuale ma non solo)
dei discenti stranieri a studiare su libri italiani tradizionali, la scuo-
la in Italia ha sviluppato tutta una serie di strumenti didattici adat-
ti a facilitare l’apprendimento della storia.8
L’INSEGNAMENTO INTEGRATO DELL’ITALIANO …
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7 Alberto A. Sobrero, “Lingue speciali”, p. 240.
8 Per quanto riguarda il settore più specifico della LgSP della storia, esiste una bibliografia ormai
complessa, per esempio, sulla difficoltà della lingua dei manuali di storia. Su tale tema specifi-
co si veda, per esempio, Roberta Grassi, “Educazione linguistica nella scuola plurilingue. La
microlingua della storia nei libri di testo per la scuola media”, Linguistica e Filologia 14/2002 e
Ivana Fratter e Elisabetta Jafrancesco, “Analisi e facilitazione del testo di storia. Proposte didat-
tiche per la scuola elementare e media”, Didattica & Classe Plurilingue 3/2002, url: <http://asso
ciazioni.comune.firenze.it/ilsa> [11.12.2009]. Sul tema vedi, per esempio, gli studi di Antonio
Brusa (docente di didattica della storia presso l’università di Bari), Il Manuale di storia, Firenze:
La nuova Italia, 1991 e “Un laboratorio ben fatto per una nuova didattica della storia”, in
<http://www.operapiamia.it/files%5Cdocumenti%5C15%5C447_Intervento_del_prof._A._B
rusa.pdf> [12.05.2009] oppure “Insegnare e apprendere con il manuale”, in url: <http://
win.liceoamaldi.it/formazione/AT8%20Approfondimenti%20disciplinari/SCUOLA%20SEC
ONDARIA%20DI%20SECONDO%20GRADO/Storia%20e%20Filosofia/Insegnare%20e%
20apprendere%20con%20il%20manuale.pdf> [12.05.2009]. In molti di questi contributi si
evidenzia la necessità (per giungere ad una perfetta accoglienza dello “straniero”) di superare
vecchie impostazioni “mono-linguistiche” e “mono-culturali”, frutto di prospettive storiogra-
fiche superate (che potremmo definire “occidentalo-centriche”, “euro-centriche” ed “italo-cen-
triche”) ma ancora vigenti nei programmi ministeriali. Anche l’organizzazione delle culture in
prospettiva linguistica è fuorviante e rende il lavoro così detto “interculturale” assai più anti-
economico. Mi riferisco in particolare al fatto che con l’organizzazione della cultura (ancora oggi
in vigore in Italia, come in altri paesi occidentali) per ambiti linguistici si finisce per incenti-
vare l’idea che una cultura X, per il solo fatto di essere espressa in una lingua appartenente ad
una famiglia linguistica Y, deve esser per forza culturalmente più vicina ad una qualsiasi cul-
tura avente come idioma di espressione una lingua della famiglia Y. Uno dei risultati di questo
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