Milli mála - 05.07.2016, Blaðsíða 338
STUDIO SU CLEMENTE REBORA
Milli mála 7/2015
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A livello inconscio, tuttavia, il discorso è significativamente diver-
so. Secondo recenti teorie delle neuroscienze cognitive:
la spontanea tendenza a distinguere tra oggetti animati e inanimati
sta alla base della nostra tendenza a personificare le entità del
mondo che ci circonda ed a sviluppare sistemi di credenze nel
sovrannaturale, poiché ci rende dei ‘dualisti intuitivi’, propensi a
distinguere, in maniera appunto intuitiva, tra corpi e anime. Pro-
prio per il nostro ‘dualismo intuitivo’ ci riesce immediato cogliere
il senso di quei racconti di cui sono costellate le culture umane,
popolati di spiriti senza corpo (spettri, fantasmi, anime dei defun-
ti), corpi senza spirito (zombie), o, infine, spiriti collocati in un
corpo che non gli appartiene [...] non abbiamo alcuna difficoltà ad
immaginare che una persona possa assumere una forma corporale
completamente diversa, mantenendo però la propria essenza im-
mutata (Salva, Vallortigara 2012: 8).30
Ora, il dualismo intuitivo non è un meccanismo indotto dalla cul-
tura. Al contrario, esso sembra essere “una caratteristica spontanea
della nostra specie, caratteristica che l’istruzione può semmai ridurre”
(ibid.: 9). Nella specie umana, il dualismo intuitivo parrebbe essere as-
sociato ad un’ipertrofia del nostro life o animacy detector, il sistema
per il riconoscimento ed elaborazione degli esseri animati, il quale, a
sua volta, sembra essere ipersensibile alle tracce di “agentività” (ibid.).
In altre parole, l’animacy detector è quel meccanismo che, ad esem-
pio, ci rende facile riconoscere volti e figure umane (o animali) nei
30 Di simili trasformazioni è ricca la mitologia classica. L’umanizzazione di entità i-
nanimate, o, al contrario, la reificazione di esseri umani, come si sa, è all’origine
stessa non solo della letteratura e dell’iconografia, ma, in genere, della nostra cul-
tura. Concetti personificati, animali umanizzati, oggetti animati si trovano in
quantità infinite lungo l’arco dei quasi tre millenni che ci separano dalle prime
forme letterarie della cultura occidentale. Alla personificazione sono riconducibili
generi e sottogeneri letterari: dall’epigramma funerario (dove il monumento al
defunto, alter ego di quest’ultimo, prende la parola per mezzo dell’iscrizione fu-
neraria e si rivolge al passante), all’epigramma anatematico (dove sono gli ogget-
ti, i più disparati, a prendere la parola sempre tramite le iscrizioni), alla favolistica
(a cominciare, ovviamente, da Esopo). Fin dalla commedia attica antica, perso-
naggi femminili incarnavano sulla scena l’ispirazione poetica o musicale (Imperio
2012: 29), mentre all’oratoria greca è ben nota anche l’efficacia emotiva, del ri-
corso alla personificazione, ricorso che verrà ripreso con sistematicità anche dagli
oratori del mondo latino. Su questo, si vedano, ad esempio, Gabriella Moretti
(2012: 53-122) e Alfredo Casamento (2012: 139-170).