Milli mála - 05.07.2016, Síða 324
Milli mála 7/2015 333
STEFANO ROSATTI
HÁSKÓLI ÍSLANDS
Studio su Clemente Rebora
1. Introduzione
n questo breve saggio non intendo ripercorrere la fortuna critica di
Rebora,1 ma piuttosto prendere in considerazione e mettere a con-
fronto alcuni tra gli studi più significativi sul poeta milanese, laddove,
in tali studi, si sono individuate alcune controversie interpretative inte-
ressanti, nonché problematiche storico-letterarie a tutt’oggi non pie-
namente risolte. Inoltre, utilizzando l’ausilio di nozioni proprie del
campo delle neuroscienze cognitive, si cercherà di fornire nuovi ap-
porti alla comprensione di un linguaggio poetico, quello reboriano,
che rimane fra i più complessi2 (e anche per questo affascinanti) della
nostra letteratura nazionale contemporanea. Nell’operare un’analisi
della poesia reboriana, in particolare si farà riferimento alla presenza
costante, soprattutto nella prima raccolta, della figura retorica della
personificazione (di contro alla sua pressoché totale assenza nelle po-
esie del primo periodo post-conversione), adattata da Rebora a esi-
genze non allegoriche, ma, piuttosto, esistenziali. Una figura retorica
1 Per un’ampia rassegna sulla critica reboriana dal 1910 all’anno della morte del
poeta (1957), si rimanda a Grandesso (2005), ma un interessante capitolo sulla
storia della critica reboriana appare già nel volume monografico di Margherita
Marchione (Marchione 1960), così come importanti articoli sono inseriti nella se-
zione Antologia critica dell’edizione completa delle poesie di Rebora curata da
Mussini e Scheiwiller (2008). Per una specifica analisi delle prime, storiche recen-
sioni dei Frammenti lirici – quelle di Cecchi, Boine e Monteverdi – si veda Ramat
(1993). La Bibliografia reboriana (Cicala, Rossi 2002) segnala inoltre, alla voce
“Critica (bilanci)” dell’ “Indice delle opere e degli argomenti notevoli”, ben dieci
lavori inerenti a resoconti critici su Clemente Rebora.
2 Bandini definì stile e linguaggio di Rebora “esempio di moderno ornatus diffici-
lis” (Bandini 1966: 13).
I