Milli mála - 01.01.2011, Blaðsíða 122
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di Lettere dura in tutto poco più di un anno, quindi. In diverse
occasioni lo scrittore riconosce di aver frequentato le aule universi-
tarie in modo insufficiente e del tutto superficiale: “a dire il vero ho
frequentato poco la nuova facoltà perché ero troppo impaziente di
partecipare alla vita culturale e politica.”30 Il rammarico di Calvino
talvolta affiora, nei ricordi, anche se compensato dal fatto che i suoi
interessi, in quel periodo, erano soprattutto altri: “Ho fatto l’uni-
versità troppo in fretta, e me ne pento; ma allora avevo la testa ad
altro: alla politica […] e non me ne pento; al giornalismo […] alla
letteratura creativa”.31 La formazione di Calvino è estranea all’am-
biente accademico. In Nota biografica obiettiva, uno scritto autobio-
grafico in terza persona, egli scrive, parlando di se stesso: “Si può
[…] dire che la sua formazione avvenne interamente fuori dalle aule
universitarie, in quegli anni tra la Liberazione e il 1950, discuten-
do, scoprendo nuovi amici e maestri, accettando incarichi di lavoro
precari e occasionali, nel clima di povertà e di iniziative febbrili del
momento.”32 In effetti Torino, nel dopoguerra, diventa uno dei cen-
tri italiani di maggior rilevanza politica (specie per la presenza di
una forte sinistra comunista) e culturale. Proprio nel 1945, in quel-
la città nasce anche un periodico, Il Politecnico33, al quale Calvino
collabora, in questo periodo che lo vede esordire anche come narra-
tore. Inoltre, sempre a partire dal 1945, Calvino comincia a gravi-
tare attorno alla casa editrice torinese Einaudi e, soprattutto dal ’46,
entra in rapporti più stretti con Cesare Pavese (1908–1950), diret-
tore della casa editrice e scrittore già affermato, che di fatto Calvino
considererà, più che un “maestro”, quasi un iniziatore della propria
attività di scrittore, colui che, tra l’altro, nel corso di passeggiate ed
escursioni apre al discepolo gli occhi sulla città e sulla vita:
30 Ibid, p. 187.
31 Ibid, pp. 21–22.
32 Ibid, p. 134.
33 La rivista, nata praticamente “dentro” il PCI, avrà, nei suoi due anni di vita, un rapporto conflit-
tuale con il partito. In particolare proprio il suo direttore, Elio Vittorini (1908–1966), soprattutto
nella famosa Lettera a Togliatti (1946), ma anche in altri articoli, rivendicherà – fino alla chiusura
avvenuta nel 1947 per il taglio dei fondi da parte della dirigenza del partito comunista stesso di
Palmiro Togliatti – l’autonomia e la non subordinazione dell’arte e della cultura alla politica.
UNO STUDIO CRITICO SULLE LEZIONI AMERICANE DI CALVINO