Milli mála - 01.01.2011, Blaðsíða 134
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zione dell’idea d’universo, che è anche una riaffermazione della
forza mitica che ogni immagine di universo porta con sé. Anche qui
come in Leopardi, l’attrattiva e la repulsione per l’infinito …”69. A
parte una certa approssimazione nella prosa (“cosmogonia come
genere letterario prima che speculazione scientifica”, “confutazione
dell’idea d’universo”, “riaffermazione della forza mitica che ogni
immagine di universo porta con sé”), neanche in questo caso, come
già era avvenuto per Dante-Cavalcanti, Calvino approfondisce il
confronto fra i testi (quello di Valéry e quello di Leopardi), che ri-
mane basato su un’unica, generica affermazione (“Anche qui come
in Leopardi, l’attrattiva e la repulsione per l’infinito …”), né risolve
in alcun modo la questione da Calvino stesso arbitrariamente posta
(quella della cosmogonia come genere letterario) e che dovrebbe
unificare i due autori, o quantomeno identificarne un denominatore
comune. Giunta, si chiede, lecitamente: “davvero il confronto con
Leopardi, con la sua attrazione-repulsione per l’infinito (ma in che
senso, e dove, Leopardi troverebbe respingente l’idea di infinito?),
rivela qualcosa di nuovo o di diverso su Valéry, o su Leopardi, o
sull’infinito?”70.
Sempre nella lezione sull’Esattezza, Calvino espone le proprie
problematiche come scrittore, la propria attuale ossessione, divoran-
te e distruggitrice, nel descrivere il dettaglio, la coscienza del rischio
di rimanere invischiato nel dettaglio sempre più fitto e infinitesimo,
fino a disperdersi e a venirne risucchiato, come in una precedente fase
letteraria gli era capitato di disperdersi nell’infinitamente vasto.71 È
un passo che potrebbe fornire chiavi interessanti sulla fenomenologia
della creazione letteraria calviniana72, ma improvvisamente l’autore
lo interrompe, per passare a un altro dei tanti accostamenti. E qui è
piuttosto difficile concordare con Asor Rosa quando dice che Calvino
usa i testi in funzione dimostrativa e non ermeneutica. Infatti, in
questo caso, la superficialità dell’accostamento è aggravata, per così
dire, da una pretesa valenza conoscitiva:
69 Ibid, p. 66.
70 Claudio Giunta, Le «Lezioni americane» di Calvino, p. 653.
71 Italo Calvino, Lezioni americane, pp. 67–68.
72 Di fatto, le parti migliori delle Lezioni americane, a mio avviso rimangono quelle in cui l’autore
parla di se stesso, esprime memorie personali o azzarda previsioni.
UNO STUDIO CRITICO SULLE LEZIONI AMERICANE DI CALVINO